Che le colline dell’Astigiano siano costellate di tanti piccoli autentici gioielli spero sia noto perlomeno ai molti. Sono le antiche chiesette campestri che punteggiano il nostro territorio, più evidenti a nord di Asti, quelle che costituiscono il grandioso percorso del Romanico Astigiano.
Sono una quarantina, isolate, bellissime, spesso in cima ad un colle o nascoste dal rigoglio della natura, diverse sono diventate col tempo cappelle cimiteriali e molte sono sorte in luoghi con tradizioni ed origini sacre più antiche e diverse. Forse anche per questo il loro indubbio valore artistico e architettonico è spesso arricchito da decori che apparentemente hanno poco a che fare con la tradizione cristiana. Sistemi di comunicazione, antichi ma evoluti, per avvicinare le semplici popolazioni rurali con la simbologia.
Pieve deriva dal latino plebs, e già dal nome si dichiara luogo dedicato al popolo, ad accogliere le genti dei villaggi e a trovarne espressione.
Le nostre sono state costruite perlopiù tra l’800 e il 1100 e facevano parte di un sistema di articolazione della diocesi in chiese battesimali, in cui risiedeva un arciprete e dove venivano amministrati i sacramenti, e in cappelle dipendenti, affidate a un sacerdote che vi diceva la messa. A quest’ultime si deve lo sviluppo delle prime comunità cristiane rurali, anche nel nostro territorio: chiese quali nuovi luoghi d’incontro per comunità frammentate e non ancora raccolte in borghi, come poco dopo. Per gli abitanti di campagne e villaggi erano il centro della vita religiosa, ma certo non solo.
Spazi sacri che davano valore e centralità alla diocesi, una volta trasformati in posti dove incontrarsi, discutere e anche fare affari, con mercati spesso ospitati sul sagrato. Un saggio ed utile strumento d’evangelizzazione, cominciato gà nel VI secolo, istituzionalizzato dalla Chiesa a partire dall’850. Le pievi erano chiamate ad essere centri ecclesiastici del contado e centri di vita sociale, con preti ad influenzare la cultura delle genti rurali verso la tradizione francescana; una bella religione dei semplici, lontana da quella dei dotti, diffusa e presente per spazi e temi, fino a far nascere una sorta di civiltà delle pievi.
Dopo un migliaio d’anni è cambiato tutto: le pievi sono monumenti solitari da ammirare, le genti rurali saggi da ascoltare, l’evangelizzazione si è spostata su media e in rete, le comunità sono sempre più virtuali. Non dico su tutto, ma almeno su qualcosina, girarsi a guardare indietro ogni tanto male non farebbe.