Ho letto Solo un ragazzo in pochi giorni. È un libro solo in apparenza semplice, che si presta a differenti piani di lettura. Il ragazzo protagonista del libro, vive un’infanzia problematica, un tormentoso modo di vivere la sua adolescenza, fatta di nevrosi assillanti e ricordi sbiaditi. Malgrado ciò, la sua esistenza, condiziona le vite di tutti i protagonisti del libro.
Elena Varvello scrive un testo che sottrae anziché ostentare – non a caso ha il merito di essere un libro breve che, oggi, è una gran fortuna; gli scrittori contemporanei che producono malloppi di 500 pagine, non incontrano la mia simpatia. È da questa lodevole e sintetica consapevolezza che Varvello racconta una storia di sana infelicità.
La sua è una favola nera che inizia con una capanna in un bosco, un cacciavite e uno spazzolino. Elementi inquietanti. E poi, la sua, è una favola che mette al centro il rapporto madre figlio – schema familiare che ammalia da sempre generazioni di uomini. Di tutti i tipi d’amore, il più potente è proprio quello di una madre: nasce in un istante, un legame che unisce due corpi e due anime.
Si dice che l'amore di una madre sia incondizionato, eterno, assoluto. Come quello di Sara, che perde il figlio in ogni modo possibile. Di lei, dopo il suicidio del figlio, non rimane che un guscio vuoto. Il suo ometto, un adolescente scapestrato, ladro – solo, strano e inquieta come alcuni adolescenti sanno essere - è comunque solo un ragazzo. Eh sì, in fondo, lui, è “solo un ragazzo”.
Ma è davvero così? Cosa gli è accaduto? Potete immaginare di perdere un figlio nell’atto di volontà più potente che un essere umano possa avere? Come si sopravvive dopo, è un’avventura scomposta: una nota stonata in una scala ben riuscita. I sopravvissuti sono lasciati a sé stessi: la guarigione è un processo lungo. Sara, madre e moglie devota, rimane a fissare il vuoto per ore, non si cura più di nulla, neanche di suo marito, devoro e paziente; neanche delle sue due figlie. Loro, di contro, affrontano questo dolore in modo opposto.
Il loro sguardo sulla vita è diverso: Amelia diventa razionale e disciplinata, Angela irregolare e ribelle. Solo dopo molti anni, chiariranno le loro posizioni. E poi c’è Pietro, il personaggio più riuscito, un insegnante, razionale e infelice, devastato dai tragici fotogrammi finali della vita del figlio. Si distrae per un attimo da quella nevrosi che avvolge la famiglia, grazie a Vittoria. La conosce a scuola: lei è più giovane, spudorata e autentica come solo certe giovani sanno essere. Fa sesso con lei. Per amore e un po’ per distrazione.
“Quand’era accanto a lei, Pietro aveva l’impressione che una parte della vita che le scorreva dentro colasse dal suo corpo”.
Per lui il mondo è un’angoscia torreggiante che lo guarda implacabile dall’alto. Il mondo, quando perdi un figlio è un inferno silenzioso, non si riesci a sopportare null’altro. Quando Vittoria si lagna, Pietro lo dice chiaramente: “Non sono la persona giusta a cui chiedere aiuto”. È tenero l’amore che Vittoria, in totale segretezza, offre a Pietro. Lo è sempre, dal momento del loro primo lussureggiante incontro, al momento dell’addio, quando lei lo accarezza come se i loro incontri. Come se il sesso, rapido e affamato sopra i sedili posteriori, non fossero stati che carezze.
Solo un ragazzo è un libro sul dolore e sulla tragica morte di un figlio, ma è anche un romanzo sull’amore e su ciò che rimane di esso quando tutto è disintegrato. Non è facile mettere a posto i pezzi. Ognuno reagisce alla propria maniera. Nonostante il sesso con Vittoria, Pietro vuole proteggere sua moglie Sara, la madre dei suoi figli. Lui vorrebbe che lei tornasse a vivere, ma la seduzione della morte è irresistibile. Quando arriva, la sua potenza distruttrice ha un sapore eccessivo, è difficile disfarsene. I corpi continuano a vivere, mossi da una inspiegabile energia universale. Cionondimeno, le atmosfere interiori mutano, accorrendo ai ritmi che il dolore impone.
In questo libro ci sono tanto amore e poca retorica. Quell’amore, il sentimento più nobile, che può essere erotico, materno, creatore; fraterno, puro e perverso. Eros, Philos, Agape. Di questo sentimento - certamente il più nobile di tutti – sono la smania, la brama, lo struggimento che lo distingue, a interessare i suoi assurdi spettatori. "Solo un ragazzo" è un bel romanzo e ha di questi obiettivi.
Varvello indaga e seziona, aggiunge e sottrae riflessioni a un dramma familiare, un fatto di cronaca nera che inchioda una famiglia a guardare indietro. "Facciamo tutti cose orribili, anche se non vogliamo". La scrittrice torinese si allontana dalla forma ampollosa tipica di un certo schema romanzesco tradizionale e predilige uno scheletro di parole, tanto semplice quanto funzionale a raccontare le cose in modo chiaro.
Perché si sa, la chiarezza è il dono di ogni grande scrittore. Non le interessa abusare di metafore e similitudini. Punta più che altro a una costruzione drammaticamente più profonda e umana. A tratti la sua scrittura risulta controllata, ma tutto nei confini di una psicologia comunque efficace ed effusiva. Queste 192 pagine fanno riflettere. E riflettere è una questione spinosa. Io lo dico sempre.