Ho due amici che fanno Montanari di cognome: Guido e Tomaso.
Guido è veramente un amico di lunga data, da quando ancora studiavo al Politecnico di Torino. Lui, da un mucchio d’anni, lì è docente di storia dell’architettura contemporanea. Autore di oltre un centinaio di pubblicazioni, presidente della Commissione Locale del Paesaggio di Torino dal 2009 al 2015, poi assessore all’edilizia privata, urbanistica, difesa dei beni comuni, paesaggio, agricoltura e arredo urbano del Comune di Rivalta di Torino e infine, recentemente, vicesindaco di Torino per qualche anno. Le sue tesi e idee sull’umanizzazione urbana mi hanno sempre trovato concorde, amico o non. E mi piacerebbe tanto vederle adattate ed applicate ad Asti a netto favore della totalità degli astigiani, per costruire un futuro diverso. Umano.
L’altro, Tomaso, lo considero io un amico. Dubito fortemente conosca minimamente il mio esistere, ma non importa. Amico lo stesso. Le sue opinioni sulla cultura le condivido così tanto da sentirlo tale. Credo siate in molti a conoscerne le basi curriculari: storico dell’arte, accademico e saggista, vero specialista di Barocco, a cui ha dedicato un gran numero di gustosi saggi e libri.
Mi piace per la sua convinzione che chi si occupa dell’arte serva a fare entrare le opere nella vita intellettuale ed emotiva di chi si occupa di tutt’altro e per la certezza che l’arte non debba essere un fatto privato, ma pubblico. Non parliamo poi di quando mi tira fuori che il patrimonio storico e artistico è un segno visibile della sovranità dei cittadini, dell’unità nazionale e dell’eguaglianza costituzionale, perché ciascuno di noi, povero o ricco, uomo o donna, cattolico o non, colto o incolto, ne è egualmente proprietario; è più forte di me, fossimo amici lo abbraccerei.
Mi permetto allora di suggerire la lettura di due dei suoi saggi, secondo me indispensabile per continuare quel dialogo pubblico sulla cultura ad Asti, apparentemente chiuso, ma da continuare quanto prima.
Partirei con un suo libro del 2015, Privati del patrimonio, di chiaro commento alla religione del mercato che sta imponendo al patrimonio culturale comune il dogma della privatizzazione.
E poi Contro le mostre, del 2017, a ragionare sull’utilità delle mostre di cassetta, sperando presto si cominci a fare altri tipi di mostre, per riscoprire il tantissimo che c'è attorno a noi, per aprirci davvero alla conoscenza della città e del territorio in cui abbiamo la fortuna di vivere, per rimettere in connessione passato e presente, per tornare ad essere orgogliosi astigiani.