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Economia e lavoro | 26 novembre 2025, 08:00

Diritto all'oblio: quando non basta per nascondere i risultati negativi. Come intervenire con le PR Digitali.

Il diritto all’oblio è stato per anni il primo vero argine alla permanenza del passato online, una sorta di contrappeso alla regola implicita secondo cui internet non dimentica.

Diritto all'oblio: quando non basta per nascondere i risultati negativi. Come intervenire con le PR Digitali.

Quando nel 2014 la Corte di giustizia europea diede ragione a un cittadino spagnolo che chiedeva di rimuovere dai risultati di Google informazioni ormai superate, il principio sembrò capace di ridefinire il rapporto tra reputazione digitale e memoria del web.

Da allora le richieste sono diventate routine e, stando ai dati ufficiali, tra il 2014 e il 2025 Google ha registrato oltre un milione e settecentomila segnalazioni per la deindicizzazione. Un numero che descrive bene il bisogno crescente di controllare ciò che appare quando si cerca il proprio nome.

Non sempre però è possibile ricorrere al Diritto all’Oblio. In alcuni casi, viene negato da Google e oggi con le IA, in realtà il rischio è di trovare risposte relative a contenuti non aggiornati, compresi quelli poco piacevoli per il proprio brand a causa proprio della generazione di risposte con dati risalenti a volte anche ad anni prima.

Il problema nasce dal modo in cui questi modelli vengono addestrati. I dataset non si aggiornano con la stessa velocità del web, e spesso riflettono uno scatto temporale fermo a mesi prima, se non anni.

In pratica, mentre i motori di ricerca agiscono come sistemi dinamici, i chatbot funzionano come archivi stratificati e non sempre aggiornati.

Un contenuto deindicizzato può sopravvivere in un modello che continua a considerarlo attendibile perché non ha ricevuto informazioni più recenti. Inoltre, la deindicizzazione su Google non garantisce la rimozione da Bing, Yahoo o altre fonti usate dai modelli per addestrarsi, creando quindi un effetto domino difficile da gestire.

Oltre il diritto all’oblio: perché serve un intervento attivo

Quando la reputazione viene ricostruita da un’intelligenza artificiale che non “vede” gli aggiornamenti, il diritto all’oblio perde parte della sua forza.

Le vie legali continuano a essere uno strumento legittimo per far correggere o cancellare dati inesatti, ma la procedura non risolve un problema più ampio, che riguarda la capacità degli algoritmi di interpretare il contesto attuale.

In assenza di un intervento proattivo, il rischio è che la narrativa digitale rimanga ferma alla versione che internet aveva registrato al momento dell’addestramento del modello.

È qui che entrano in gioco le PR Digitali, non intese come una manovra cosmetica, ma come un lavoro articolato che coinvolge editoria, contenuti informativi, autorevolezza della fonte e precisione semantica, perché ciò che viene pubblicato oggi influenza direttamente ciò che le intelligenze artificiali racconteranno domani.

Il compito non è cancellare, ma generare un nuovo ecosistema di segnali capaci di orientare la percezione del pubblico e quella delle macchine, entrambe ormai decisive nella costruzione della reputazione.

Le PR Digitali come strumento di riscrittura del contesto informativo

Lavorare sulla reputazione nell’era dell’IA richiede un approccio che non si limita ad accompagnare l’utente nelle richieste di rimozione, ma che costruisce una presenza digitale solida, distribuita e coerente. Le PR Digitali intervengono su tre piani.

1. Ricostruzione dell’identità digitale attraverso contenuti autorevoli

Gli algoritmi riconoscono la consistenza di una fonte basandosi su una molteplicità di fattori, che vanno dalla citazione su siti editoriali accreditati alla presenza reiterata di informazioni aggiornate e precise.

Pubblicare articoli che raccontano la realtà attuale di una persona o di un’azienda, in modo documentato e verificabile, permette di generare materiale che gli LLM possono includere nei loro futuri aggiornamenti.

2. Gestione delle keyword sensibili

Molte intelligenze artificiali ricostruiscono le risposte usando associazioni di parole che ritrovano con maggiore frequenza nei testi. Se il nome di una persona è stato legato a un evento negativo, l’associazione può riaffiorare anche dopo la deindicizzazione.

Le PR Digitali lavorano su keyword e semantiche alternative, capaci di creare nuove connessioni riconoscibili dagli algoritmi. Una strategia che richiede precisione editoriale e comprensione delle dinamiche dei modelli linguistici, e che evita semplificazioni tecniche, perché ogni parola pesa nella costruzione di un’identità digitale.

3. Rafforzamento delle fonti che certificano l’affidabilità

Un contenuto pubblicato su un medium riconosciuto come autorevole ha maggiori probabilità di essere interpretato come attendibile da un modello linguistico.

Questa è una delle ragioni per cui le PR Digitali non si limitano ai comunicati o ai blog proprietari, ma includono collaborazioni strutturate con testate, magazine e portali tematici che possano trasmettere segnali forti agli algoritmi.

L’autorevolezza editoriale diventa un parametro che incide tanto quanto il tono o la qualità del contenuto.

Su questo punto interviene Alfonso Alfano, Digital PR Specialist di Wolf Agency, che sintetizza così il cambio di scenario: «Lavorare sulla reputazione oggi significa creare un ambiente informativo aggiornato e coerente, capace di resistere alle interpretazioni errate degli algoritmi. Non basta correggere ciò che è stato pubblicato anni fa, bisogna dare ai modelli linguistici nuovi materiali da cui attingere, perché le IA non costruiscono risposte sulla base di un singolo contenuto, ma sul peso complessivo del contesto digitale».

IA, reputazione e segnali di affidabilità: la visione aziendale

La trasformazione non riguarda solo gli utenti e i professionisti della comunicazione, ma anche le aziende che devono gestire la propria esposizione pubblica in un ambiente molto più instabile.

Il rapporto tra reputazione e intelligenza artificiale è destinato a diventare sempre più stretto, perché gli utenti si abituano a dialogare con sistemi che sintetizzano, interpretano e riorganizzano i dati.

Su questo tema interviene Isan Hydi, CEO di Wolf Agency, con una riflessione che tocca il cuore del problema: «Ogni organizzazione deve comprendere che la reputazione non si protegge più soltanto attraverso la gestione delle crisi, ma attraverso la produzione costante di contenuti accurati e verificabili. Gli LLM non ragionano come un motore di ricerca, non pongono la stessa importanza al tempo della pubblicazione e non aggiornano le informazioni con la stessa frequenza. Per questo i contenuti devono essere costruiti in modo da emergere come fonti solide agli occhi dell’IA».

Il diritto all’oblio resta una tutela di grande rilievo, ma da solo non basta più. La reputazione oggi ha bisogno di essere alimentata da contenuti nuovi, verificabili e capaci di dialogare con gli algoritmi che popolano il web.

Le PR Digitali completano ciò che la legge non può fare: ricostruire, aggiornare e rafforzare il quadro informativo che circonda una persona o un’azienda, evitando che vecchi dati si trasformino in verità durature.





 

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