Per la terza volta, ad Asti, fra il 30 novembre e il 1 dicembre scorsi, gli amici e le amiche di Paolo De Benedetti si sono dati appuntamento per ricordare questo intellettuale grande e irripetibile, scomparso a dicembre 2016.
È già diventata un piccola tradizione. Molte presenze, un po’ da tutta Italia e non solo dalla sua città natale. Dal priore di Bose Luciano Manicardi al teologo Vito Mancuso, da Elsa Bianco già presidente dell’Unione Buddhista Europea a Piero Stefani presidente del Segretariato Attività Ecumeniche. Ancora una certa commozione, e soprattutto la consapevolezza che c’è ancora molto da scavare, nel lascito debenedettiano, fortunatamente.
Paolo De Benedetti è un prisma multicolore. Marrano. Cristiano, la domenica, ma ebreo gli altri giorni. Sfuggente a ogni definizione esatta, in una stagione che ha subìto il farsi scudo di troppi dietro un’identità assoluta e alla fine banale. C’è lui, dalla diffusione nel circuito culturale nazionale delle lettere dal carcere di Dietrich Bonhoeffer ai limerick per Linus; dalle pagine dell’Enciclopedia europea di Garzanti alla scoperta dell’ebraismo quale interlocutore necessario della modernità e del cristianesimo postconciliare, non solo ma anche con la rivista da lui diretta, SEFER; dalle docenze generosamente sparse fra Milano, Trento e Urbino alla Bibbia letta laicamente in quel di Biblia; dalle perle donate a Uomini e Profeti fino ai mille convegni organizzati qui e là che vedevano nel suo intervento sapiente l’inimitabile clou.