Il primo dicembre è una data di grande importanza a livello globale, poiché segna la Giornata Mondiale per la lotta contro l’AIDS. Questa giornata è stata istituita nel 1988 ed è dedicata alla sensibilizzazione e all’educazione sulla sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) e sul virus dell’immunodeficienza umana (HIV).
L’AIDS è una malattia che colpisce il sistema immunitario del corpo, rendendolo difficile per il corpo combattere le infezioni e le malattie. È causato dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV), che si diffonde attraverso il contatto con certi fluidi corporei di una persona infetta, come il sangue, il seme, le secrezioni vaginali e il latte materno.
La lotta contro l’AIDS non è solo una questione di salute, ma anche di diritti umani, poiché le persone che vivono con l’HIV spesso affrontano discriminazioni e stigma.
Da questi presupposti, Patrizio Onori, attivista LGBTQ+ e già Presidente di Asti Pride, affronta la questione tratteggiando un quadro tra luci e ombre, non senza qualche preoccupazione per il futuro.
"Le nuove diagnosi nelle fasce 25-39"
Partiamo dai dati elaborati dall’istituto Superiore di Sanità e divulgati da L.I.L.A. (Lega Italiana per la Lotta all’Aids): i nuovi casi nel 2022 sono 2011 rispetto i 1770 del 2021, la maggior incidenza di nuove diagnosi si riscontrano nelle fasce d’età 30/39 e 25/29 e sono attribuibili a trasmissione sessuale (l’83,9%).
Le diagnosi dovute a rapporti sessuali eterosessuali non protetti rappresentano il 43% del totale, mentre il 41% si riferiscono a rapporti omosessuali tra maschi.
Più del 40% delle persone che hanno eseguito il test lo ha fatto a causa della comparsa di sintomi o patologie AIDS correlate e solo il 24% perché consapevole di aver avuto rapporti a rischio/non protetti.
La probabilità di diagnosi tardive cresce con il crescere dell’età, tra i maschi il 69,3% nella fascia 50/59 anni ed il 79,2% negli ultrasessantenni.
Insomma un quadro che desta qualche preoccupazione e che deve spingere a delle attente riflessioni.
"Infezioni in aumento a causa della mancata percezione del rischio"
Le infezioni in sensibile aumento sono frutto di una generale mancata percezione del rischio e poca consapevolezza dei comportamenti sessuali tenuti. Nel nostro Paese il retaggio culturale della morale religiosa che considera l’attività sessuale come qualcosa di “sporco” e “peccaminoso” impedisce una serena discussione e rappresentazione delle questioni sanitarie (non solo HIV) che toccano la sfera sessuale delle persone. Questo vulnus ha altresì impedito, negli anni, campagne di informazione efficaci sul tema della prevenzione, creando, nell’opinione pubblica, l’errata percezione che vi siano gruppi di persone esenti dal rischio di contrarre il virus dell’HIV.
Il frutto velenoso di tale situazione sociale e culturale è il fenomeno dei “late presenter” ovvero di coloro che ricevono la diagnosi dell’infezione quando sono già comparsi sintomi o patologie legate alla malattia vera e propria (AIDS). Ciò significa che tali persone, avendo contratto l’infezione già da diversi anni e non avendo ricevuto le efficaci terapie antiretrovirali oggi disponibili, hanno già subito o stanno subendo rilevanti danni al sistema immunitario. Ma non solo, oltre ai danni alla propria salute ciò aumenta vertiginosamente la probabilità di trasmettere o aver già trasmesso il virus ad altre persone.
Quali le azioni possibili per fronteggiare la situazione?
Di sicuro occorre urgentemente mettere in atto una massiva, efficace e costante campagna informativa e di prevenzione che renda consapevole le persone dei rischi possibili e che crei comportamenti “virtuosi” per un ricorso allo screening ed al testing per tutte le infezioni e malattie trasmissibili per via sessuale e non solo per l’HIV. Evitando influenze di tipo moralistico o religioso che, purtroppo, spesso inquinano l’opinione pubblica nel nostro Paese.
Agevolare l’informazione e l’accesso alla profilassi pre-esposizioni (PreP) o post-esposizione (PeP) oggi gratuitamente disponibili per le persone che hanno rapporti sessuali a rischio.
Rendere amichevole e facile l’accesso al testing, sia quello “slow” fornito dagli ambulatori presenti all’interno dei presidi ospedalieri pubblici, sia quello “fast” messo a disposizione dalle reti nazionali e locali di associazionismo e volontariato (es. L.I.L.A. ANLAIDS).
Ultimo, non certo per importanza, combattere con tutte le risorse disponibili lo stigma che colpisce le persone con HIV. Sono ancora tante, troppe le persone discriminate nel mondo del lavoro o nelle relazioni sociali perché sieropositive. E’ bene ricordare che con le terapie antiretrovirali oggi disponibili, una persona con HIV conduce una vita normale e con un aspettativa di vita non diversa dalle persone sieronegative. Inoltre una persona in terapia antiretrovirale è definita come “U=U” (Undetectable = Untrasmittable) ovvero non è in grado di trasmettere il virus ad altre persone.
"Preoccupazioni sull'ambulatorio di malattie infettive di Asti?"
Le sfide sono tante, ma sono tutte a portata di mano. Certo tutto ciò deve poi fare i conti con la realtà del nostro Paese che spesso registra una dicotomia evidente tra intenzioni e azioni concrete.
Un Paese dalle mille contraddizioni che vuole sconfiggere la violenza sulle donne, ma poi taglia i fondi per i centri antiviolenza, che vuole irrobustire il welfare a sostegno della maternità ma tagli agli asili nido pubblici, che dovrebbe salvaguardare la salute dei cittadini ma poi non garantisce i fondi necessari al buon funzionamento della sanità pubblica.
Contraddizioni che non risparmiano di certo il livello locale, si torna infatti a parlare insistentemente di una riorganizzazione, se non addirittura una chiusura con accentramento su Alessandria, dell’ambulatorio malattie Infettive presente nel complesso ospedaliero cittadino. Se ciò risultasse vero, verrebbe a mancare uno degli attori fondamentali nella prevenzione e nella lotta locale al virus dell’Hiv e all’AIDS.
Come ogni sfida anche questa può essere vinta, ma per farlo occorre avere gli attrezzi adeguati. Sono ancora troppe le persone decedute in Italia a causa dell’Aids, negli ultimi 10, oltre 500 ogni anno, l’arresa non è un’opzione tollerabile.
Buon 1° dicembre.
Patrizio Onori
Attivista LGBTQI+