Quest’anno il convegno ANRA (Associazione Nazionale dei Risk Manager e Responsabili Assicurazioni Aziendali), che si è svolto nei giorni scorsi a Milano e che ha visto oltre 1000 ospiti accreditati, ha scelto un titolo forte: “Policrisi e incertezza globale: il risk management in azione”. Un tema che, come spiega Federico Lucia, astigiano, direttore didattico e membro del consiglio direttivo dell’organizzazione, "non poteva che essere così, visto il contesto che vede il quadro internazionale in continua tensione e mutamento costante".
Ma che cos’è, davvero, la policrisi? "È un insieme di crisi interconnesse tra di loro, di natura estremamente complessa e con effetti a cascata che hanno l’effetto di amplificarne esponenzialmente gli effetti", racconta Lucia. Dalla geopolitica al clima, passando per la rivoluzione digitale, Lucia tratteggia un quadro che abbraccia tutti i fronti.
Il titolo del Convegno ANRA di quest’anno è “Policrisi e incertezza globale”. Cosa significa, concretamente, vivere in un’epoca di policrisi?
Quest’anno ANRA ha voluto parlare di policrisi, e non poteva che essere così, visto il contesto e il quadro internazionale in continua tensione e mutamento costante. La policrisi è un insieme di crisi interconnesse tra di loro, di natura estremamente complessa e che producono effetti a cascata: crisi che generano e amplificano altre crisi. Immaginiamole come una ragnatela di rischi e incertezze che si ramifica sempre più in profondità. Come tutti i rischi, tuttavia, anche la policrisi ha una duplice faccia, positiva e negativa. Noi europei, che abbiamo conquistato negli anni un elevato tenore di vita, viviamo questa fase con angoscia, perché abbiamo molto da perdere e ben poco da guadagnare dall’instabilità globale, mentre per altre aree del mondo – come quella orientale – essa rappresenta un’enorme opportunità di affermazione delle proprie ambizioni. La policrisi nasce da più fattori: il declino dell’egemonia americana e l’ascesa di potenze rivali, il cambiamento climatico che sta modificando il volto del pianeta, la nuova rivoluzione digitale guidata dall’intelligenza artificiale e da sistemi sempre più interconnessi, la fragilità delle catene di fornitura e le tensioni internazionali che riaccendono i conflitti in ogni angolo del pianeta. A tutto questo si aggiunge, per l’Europa, l’invecchiamento demografico, con una forza lavoro in calo e una ricchezza in declino. È un quadro complesso, ma come tutti i grandi cambiamenti possiamo cogliere anche opportunità: se riusciremo a governare questa fase di transizione con visione e intelligenza, potremmo essere protagonisti del cambiamento e non solo spettatori destinati a subirne gli effetti.
In questo contesto, come può il risk management diventare uno strumento concreto per imprese e pubbliche amministrazioni?
Adottare decisioni basate sul rischio significa innanzitutto avere leve e strumenti per pianificare al meglio. Significa avere una visione di lungo periodo, costruire strategie solide nel medio termine. Il grande vantaggio del risk management è proprio questo: ti permette di assumere decisioni oggi, ponderandole non sul breve ma sul medio-lungo periodo, attraverso strumenti che aiutano a capire la complessità del mondo che ci circonda. È una bussola per orientarsi in un contesto mutevole, per elaborare scenari e strategie di risposta, evitando di navigare a vista, in costante balia di incertezza ed eventi.
L’Italia si trova al centro della policrisi globale: quali sono i suoi punti di forza e le sue fragilità?
L’Italia ha un ruolo particolare: è una Nazione occidentale posta nel cuore del Mediterraneo, membro dell’Unione Europea, legata agli Stati Uniti ma capace di dialogare con tutto il mondo. È un Paese ricco, con un’economia di trasformazione, capace di creare valore, ma povero di risorse e fortemente dipendente dalle catene di fornitura esterne. E, oggi più che mai, questi fattori costituiscono un rischio importante. Allo stesso tempo, però, abbiamo un tessuto di piccole e medie imprese straordinario, innovativo, che rappresenta un punto di forza e di eccellenza. La nostra debolezza strutturale è l’età media elevata della popolazione: siamo uno dei paesi più anziani al mondo e ciò comporta una perdita di forza lavoro destinata a peggiorare, se non si interverrà seriamente a mitigarne l’impatto. In più, la nostra economia si fonda sull’export, quindi la sicurezza delle rotte marittime e la stabilità geopolitica sono condizioni essenziali per la ricchezza e lo sviluppo di un paese come il nostro. È un equilibrio delicato, in cui la capacità di gestire il rischio, anche e soprattutto a livello di Governo, può davvero fare la differenza.
E a livello locale? Come si traducono queste dinamiche globali in un territorio come quello astigiano e piemontese?
Sul piano locale vediamo dinamiche simili a quelle nazionali, ma alcune risultano ancora più accentuate. Asti ha una tradizione fortemente vitivinicola, un settore oggi esposto ai cambiamenti climatici e alle sfide demografiche. Il problema della forza lavoro, per esempio, è centrale: se nell’industria è più facile automatizzare determinati processi, nel settore primario vi è qualche complessità in più. Dobbiamo interrogarci su come rendere questo settore attrattivo per i giovani, investendo su innovazione, digitalizzazione e intelligenza artificiale. In provincia si stanno già sperimentando soluzioni in chiave “industria 5.0” anche per il comparto vitivinicolo, ma serve una visione di lungo periodo e un forte investimento nella formazione e nella capacità di innovare e di creare una classe imprenditoriale pronta ad affrontare le sfide del futuro. Formare, attrarre talenti e fare di Asti un simbolo nazionale di eccellenza in questo campo: è questo l’obiettivo.
Un’altra opportunità è il turismo e la brand identity astigiana nel mondo. Asti ha riscoperto la sua vocazione turistica: siamo nel cuore del Piemonte, tra Langhe e Monferrato, patrimonio mondiale riconosciuto. Ma non basta promuovere: il turismo si sostiene con i servizi. Servono infrastrutture, mobilità, collegamenti efficaci e sinergie con Torino, Milano, Genova, capacità di creare eventi capaci di attrarre un pubblico internazionale e creazione di percorsi cicloturistici alla scoperta del nostro territorio. Solo così potremo rendere Asti e l’Astigiano un vero cuore pulsante del Piemonte turistico. E infine la sfera sociale: con tanti piccoli comuni e un solo grande centro, il territorio deve restare attrattivo anche per chi ci vive, non solo per chi lo visita, capace di rispondere ai bisogni della popolazione, anche e soprattutto nelle aree rurali.
Costruire una cultura del rischio: da dove si comincia?
Da questo punto di vista, qualcosa è cambiato. Dopo la pandemia, imprese e istituzioni hanno capito quanto sia importante valutare i rischi e ragionare su scenari che prima si pensavano impensabili. Nessuno si aspettava una crisi sanitaria di quella portata, né una guerra nel cuore dell’Europa dopo i grandi conflitti del 900. La lezione è stata dura, ma chiara: la gestione del rischio deve entrare nella vita quotidiana delle organizzazioni pubbliche e private. Quello che ancora manca è la diffusione di una vera cultura, a partire dalla formazione.
Bisogna cominciare dalle scuole: introdurre il tema già nella scuola secondaria, non solo all’università o nei corsi post-laurea. Il risk management non deve restare materia per addetti ai lavori, ma diventare parte dell’educazione civica, della consapevolezza collettiva e della cultura d’impresa. Anche nella Pubblica Amministrazione dovrebbero esistere figure dedicate, in grado di coordinare le strategie di investimento e di prevenzione in un’ottica di medio-lungo periodo, supportando inoltre quegli Enti Locali minori che, più di altri, si trovano ad affrontare queste sfide con povertà di mezzi e risorse a loro disposizione.
ANRA sta già lavorando in questa direzione, promuovendo programmi di cultura e formazione, non soltanto nelle hard skills ma anche nelle competenze soft e trasversali: per questo abbiamo chiamato il nostro modello didattico “Learning Experience”. Oggi, più di ieri, la figura del Risk Manager è poliedrica e deve confrontarsi con rischi molto diversi ed estremamente complessi ed interconnessi. La capacità va oltre la mera competenza tecnica: il rischio non va soltanto valutato, ma va saputo comunicare ai soggetti decisori pubblici e privati. È l’unica via per costruire una società più consapevole e resiliente, capace di affrontare le crisi non solo quando arrivano, ma anche – e soprattutto – prima che accadano.